IL CINEMA DELLA GIUSTIZIA

Sono passati due anni da quando si è consumato un fatto che per gravità ha raggiunto un livello inaudito.

La regia sembra quella di Brian Singer, l’intreccio è fitto, il tempo della narrazione lento, caustico, soffocante.

I protagonisti, in questo capitolo, non sono Kaiser Sauzee e il suo delfino Kobajiashy, e neppure Keaton a fare da contraltare, no, questa volta abbiamo da un Lato un Ministro della Repubblica Italiana, che nel suo nome perpetua quello che dovrebbe essere il principio cardine su cui un uomo di Legge, il Ministro di Grazie e Giustizia, opera. Dovrebbe. Il verbo chiave è questo, azione che sottintende una condizione sine qua non, un modus operandi, uno status quo… l’altra foto appesa a fianco di quella del Ministro, è quella di Nino Di Matteo, una Bandiera, un uomo che per la sua storia di lottatore contro la criminalità organizzata di stampo mafioso ha ereditato la stima del Paese paragonabile a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un eroe moderno che calza perfettamente i panni dell’eroe che la nuova generazione di Magistrati dovrebbe seguire come esempio e cercare di emulare quanto più possibile nel lavoro e nella coscienza usata per emettere le sentenze ed ancor prima per come fa gestire le indagini.

In questi giorni ne abbiamo sentite di tutti i colori ma una nota stonata rimane, e forse rimarrà a lungo perché chi dovrebbe darci risposta, glissa, si nasconde, fa firmare una circolare ad una funzionaria dello Stato che normalmente non si deve occupare di cose del genere, anzi. Chi dovrebbe dirci come mai il Ministro cambiò idea? Dopo essersi confrontato con chi? Qual è la regia occulta che muove la sequenza delle telecamere attive su questo set cinematografico?

Come si fa a dichiarare che offrire la direzione generale Penale al Dottor Di Matteo era perché presumeva, il Ministro, di offrire un ruolo ancor più prestigioso rispetto al DAP? Relegarlo ad un ruolo pressoché da ragioniere e metterlo a fare bandi di gara nonché referente dei fornitori dello Stato per il settore Penitenziario, vuol dire di fatto estrometterlo dalla lotta alla Mafia, vuol dire togliere competenze al Paese, e vuol dire regalare ignoranza alle cosche mafiose, humus ideale per il proliferare di attività fuori legge che mirano al controllo della politica. Ma allora, il disegno dei soliti sospetti qual è?

Vedere scarcerare uomini che si sono macchiati dei reati più cruenti contro la persona e il patrimonio, in barba alla fatica, al sudore della fronte e al sangue versato dagli uomini dello stato è inaccettabile.

Vedere come la Dea Bendata ci veda benissimo nei confronti degli uomini di Cosa Nostra e delle altre organizzazioni, e non consideri chi magari è detenuto ingiustamente, o chi è in attesa di giudizio per fatti meno gravi, per reati minori, quelli no, la fortuna non li assiste, ma guarda caso la lunga lista degli assistiti dalla Fortuna sono inspiegabilmente riconducibili ad attività criminose organizzate, complesse e con rapporti intrecciati con la Politica.  Il fatto stesso che i detenuti in regime di 41 bis, il carcere duro voluto a fine anni 80 dall’allora Guarda Sigilli, l’On. Martelli, il carcere privo di agevolazioni, privo di contatti col mondo esterno per evitare che continuassero a condurre i vari Mandamenti… si esatto quel modello di carcere, modello dal quale i Mafiosi, fanno sapere a gran voce, invece, che non gradiscono Di Matteo, perché sarà qualcuno di molto poco amichevole nei loro confronti, perché non li farà uscire più ( riferito alle registrazioni pubbliche oramai…) Ma allora, volete farci credere che i Mafiosi si lagnassero fra di loro solamente pour parler? Erano frasi gridate nei corridoi delle carceri solamente per far sapere fra braccio uno e braccio 2 cosa ne pensavano? O erano dei messaggi diretti alla politica, alle sale dei bottoni, dove la connivenza, la contiguità fra Mafia e Politica non è mai smessa? A guardare così, sembra proprio un chiaro ordine da eseguire senza tanti fronzoli o perdite di tempo. Il risultato, va come i criminali chiedono, e va anche oltre perché il covid diventa lo scudo dietro al quale si possono mascherare situazioni kafkiane, paradossali. La struttura carceraria non è in grado di garantirti la salute, quindi ti manda a casa, molto semplice e molto più efficace di dover dire, fino a che gestisco la sanificazione di questa residenza coatta, ti trasferisco ad altra struttura per garantire l’incolumità fisica e soprattutto garantire che tu, mafioso, non torni per strada. Invece, gente del calibro di consiglieri di Provenzano e Riina, gli esecutori dell’omicidio del piccolo Di Matteo, elementi che la libertà non dovrebbero mai più assaporarla, vengono rimessi in libertà grazie a delle sviste, a mail che dal DAP non sono partite, o se sono partite il WEB ha inghiottito, regole trascritte in modo poco chiaro e fumoso, scritte sulla neve caduta ai primi di luglio, non durerà ancora molto in queste condizioni, qualcosa deve accadere per venire a capo di cosa è successo realmente e quali azoni si possono intraprendere per allontanare per sempre i responsabili di questo comportamento delittuoso e totalmente anti popolo italiano.

Risalendo per lo stivale, andando verso casa, ovviamente mi avvicino ad un altro capitolo del Mondo della giustizia che mi ha lasciato totalmente privo di ogni commento. Cosa fa la magistratura davanti ad un Ministro che prende delle decisioni in merito al ruolo che ricopre? (logicamente si può essere a favore o contro le idee che il ministro persegue poiché mosso dal supremo interesse per il bene del Paese). Cosa dice un Magistrato ai suoi colleghi? Beh gli epiteti usati li conoscete, riprovevole, assolutamente ingiustificabile, vergognoso. Risultato il magistrato viene allontanato in via definitiva! Ma secondo voi , siamo in un paese dove questo basterebbe per dire ok ha sbagliato quindi deve pagare e on meravigliarsi di null’altro? NO, in Italia, infatti, questo soggetto che risponde al nome di Giudice Palamara, ha avuto anche il coraggio di dire che non lo hanno neanche ascoltato, poverino, non gli hanno dato la possibilità di vuotare il sacco, quindi adesso lui dirà tutti i nomi di chi era coinvolto in questa faccenda. Ora farà a ameno del suo voto di omertà per i crimini commessi per far spazio alla più pia collaborazione con gli inquirenti, affinché si sappia chi è marcio. Ecco che allora la domanda che si pone spontanea è: quindi voi mi volete dire che se non uscivano queste intercettazioni ambientali, voi avreste continuato a prenderci in giro? Allora cosa decidiamo adesso? Chiaro questi soggetti non devono più avere nulla a che fare con la macchina pubblica!

Ma il finale della pellicola in corso si avvicina, resta soltanto da capire se, come nel precedente film, il cattivone si dilegua in mezzo al traffico, perché la grande astuzia del diavolo non è aver fatto le pentole, e non i coperchi, ma aver convinto tutti che lui, alla fine non esiste. )

VALENTINO CIRIVELLO

2 pensieri riguardo “IL CINEMA DELLA GIUSTIZIA”

  1. Questo passaggio è una macchia indelebile commesso dal governo delle quattro sinistre protagonista Bonafede regista Mattarella. Scarcerare elementi mafiosi per paura covid, ma non potevano fare una gabbia in mezzo ad un campo, no mandati a casa a fare i propri interessi.

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